Una testa decapitata, rimane cosciente?

Ed è proprio grazie alle pubbliche esecuzioni che alcune testimonianze risalenti all’epoca della Rivoluzione Francese, vogliono che si siano viste teste sbattere le ciglia o fare strane espressioni con il volto. I medici dell’epoca stavano cominciando a prendere dimestichezza con l’anatomia del corpo umano e con la consapevolezza che lo stato di coscienza non svanisce di colpo ma che anzi impiegherà il tempo necessario affinché il sangue defluisca dal cervello. Ma per quanto tempo si rimarrebbe coscienti dopo la decapitazione? Purtroppo “ai bei tempi” non vi erano cineprese per tramandare ai posteri i risultati degli esperimenti sulle teste decapitate, ma pare che i medici dell’epoca chiedessero alla testa di sbattere le palpebre a comando più volte, così da cronometrare il tempo intercorso tra la decapitazione e la perdita della coscienza. La testimonianza arrivata a noi parla di trenta secondi ma non è chiaro se si tratti di una effettiva risposta al comando o se siano invece dei semplici spasmi muscolari involontari.
Passiamo ora ad esaminare alcune testimonianze (pseudo?) “scientifiche”.

Il 18 febbraio 1848, due uomini e una donna entrarono nella piazza di fronte alla Porte de Hal, a Bruxelles, dove una pubblica esecuzione avrebbe avuto luogo poco dopo l’alba. Erano lì per condurre uno studio “scientifico” rivoluzionario e, previo accordo con le autorità penali belghe, fu loro permesso di salire sul patibolo e attendere accanto alla ghigliottina proprio nel punto esatto in cui le teste mozzate di due criminali condannati sarebbero cadute. Uno degli uomini era Antoine Joseph Wiertz, un noto pittore belga, con lui un ipnotizzatore e una testimone. Lo scopo di Wiertz in quel giorno d’inverno era di realizzare un esperimento unico e straordinario. Lungamente ossessionato dal desiderio di sapere se una testa mozzata rimanesse conscia dopo una ghigliottina, il pittore aveva accettato di essere ipnotizzato e istruito nell’identificarsi con un uomo che stava per essere giustiziato per omicidio. A quanto pare, il pittore ormai sotto ipnosi, cominciò a sentirsi piuttosto inquieto all’apparire del carretto che trasportava i condannati a morte. Riferì di provare sensazioni di paura e dolore al collo. Quando i due condannati furono piazzati sul patibolo, l’ipnotista istruì Wiertz di identificarsi direttamente con una delle teste che sarebbero di li a poco finite nella cesta. Un istante prima che il boia mettesse in pratica l’esecuzione Wiertz cambiò idea e chiese al suo amico di interrompere l’esperimento, ma era ormai troppo tardi. La lama calò….

Uno dei due condannati a morte, stando al biografo di Joseph Wiertz, doveva essere un ladro di nome François Rosseel, che con l’aiuto del suo complice Guillelme Vandenplas si era introdotto il mese prima nella casa della di Mademoiselle Evanpoel, sua affittuaria, colpendo a morte lei e due servitrici per un bottino di poche centinaia di franchi. Fu un crimine molto efferato sconvolse tutto il Belgio. Se ne scrisse molto sui giornali e Wiertz seguì con attenzione la vicenda e alla fine scelse proprio i due assassini come oggetto del suo esperimento.
… La lama calò, era troppo tardi per interrompere l’esperimento. Wiertz fu quindi “indotto” ad identificarsi con la prima testa che rotolò nella cesta: quella di Rosseel. In seguito il pittore riportò per iscritto quelle che furono le sue sensazioni e buona parte del testo era in prima persona. Questo scritto accompagnava un quadro da lui dipinto proprio per quell’occasione e stampato solo qualche anno dopo. Eccone alcuni estratti:

Tutto questo, secondo Wiertz durerebbe ben tre minuti. Improbabile a dir poco, così come il “metodo scientifico” utilizzato.
Aneddoti mai provati riguardanti la sopravvivenza della coscienza nelle teste mozzate giravano già nella Francia diciannovesimo secolo, e alcune di esse sopravvivono ancora oggi grazie ad Internet. Per esempio, quelle su Lavoisier, il chimico, che avrebbe concordato con un assistente il battito delle palpebre tutte le volte che poteva dopo la sua esecuzione nel 1794. L’assistente avrebbe contato 15 o 20 cenni, al ritmo di uno al secondo. Si racconta anche che “quando il carnefice sollevò il capo di Charlotte Corday, che aveva pugnalato Marat nel suo bagno, gli diede uno schiaffo sulla sua guancia, si dice che la testa fosse arrossita mostrando inequivocabili segni di indignazione. Nessuna delle due storie, tuttavia, si basa su una solida fonte. All’epoca, l’argomento suscitava interesse di tanti ed i medici condussero molti esperimenti per rispondere alla fatidica domanda: “Può una testa mozzata vivere dopo essere stata separata dal corpo?”. I resoconti di molti di questi esperimenti possono essere trovati nella letteratura.
Un rapporto più completo, pubblicato sulla Gazzetta Médicale de Paris, riportava alcuni dei test a cui i medici sottoposero la testa gridando «Prunier!» nell’orecchio, pizzicandogli la guancia, inserendo un pennello intriso di ammoniaca nelle narici, punzecchiando il viso con gli aghi e tenendo una candela accesa su un bulbo oculare. Questione chiusa. Questa è la prova schiacciante che una testa non può vivere neanche un istante separata dal corpo. E invece no! perché a quanto pare la testa fu affidata ai due medici soltanto cinque minuti dopo la decapitazione. E a tutti pare improbabile che la testa possa resistere così a lungo senza il resto del corpo.
Nel settembre del 1880, stando al racconto del dottor Dassy de Lignères, del quale non si sa nulla altro, alcuni esperimenti furono condotti sulla testa di un assassino particolarmente sgradevole di nome Louis Ménesclou. Ménesclou, 19 anni, aveva attirato una bambina nella sua stanza, l’aveva violentata e uccisa. Dopo l’assassinio aveva smembrato vittima e parti del suo corpo furono trovate nelle sue tasche.
In questo caso, Dassy de Lignères ha ricevuto la testa tre ore dopo l’esecuzione. Il dottore ha affermato di aver collegato le principali vene e arterie a una scorta di sangue fornita da un cane vivente. Un quarto di secolo dopo, quando il dottore rilasciò un’intervista al quotidiano francese Le Matin (3 marzo 1907), affermò che:
Sembra tuttavia davvero il racconto volutamente sensazionalistico di una rivista scadente o di un dottore racconta balle. Quella che segue è forse la testimonianza più importante.

Il 30 giugno 1905, il dott. Gabriel Beaurieux ottenne il permesso per assistere all’esecuzione tramite ghigliottina di Henri Languille, un “bandito che aveva terrorizzato la Beauce e il Gatinais, nella valle del Loing, tra Parigi e Orléans, per diversi anni.” Il suo rapporto concludeva che Languille aveva mantenuto una qualche forma di coscienza per circa mezzo minuto dopo la sua esecuzione.

Sebbene questa sia l’unica testimonianza più o meno credibile, ci sono alcuni fatti da tenere in considerazione.
Ci sarebbe una fotografia che ritrarrebbe Languille accanto al suo patibolo. La “foto” è un falso, con figure dipinte sulla foto (quella vera) del patibolo nella piazza vuota.
Ingrandendo la foto del patibolo, si può notare come non ci sia nessuna superficie piana dove la testa del condannato a morte potesse cadere dritta. Il dottore afferma che non fu obbligato a prendere la testa tra le mani perché questa cadde su una superficie piana, che però nella foto sembrerebbe non esserci. In più non è stato possibile trovare alcun riferimento al dottor Gabriel Beaurieux in nessuno dei giornali dell’epoca.

